Il mulattiere, le mulattiere, il mulo e il loro Re. Storia di un antico mestiere garfagnino

Denigrato, offeso, screditato e spesso infamato…“Sei duro come un mulo !”

Così si dice quando ci si vuol riferire ad una persona cocciuta e ostinata, o quando si vuol parlare di un individuo ricco caduto in disgrazia il modo di dire è “ha preso il calcio del mulo”. Insomma una miriade di espressioni che da tempo immemore hanno condannato il povero mulo ad essere considerato uno fra gli esseri più stupidi e poco considerati di tutto il regno animale. Eppure proprio lui ha segnato la vita dell’uomo come pochi altri animali. Già nell’antica Illiria il mulo era diffuso ed allevato dai contadini del luogo. Nello stesso tempo la sua utilità si diffuse ben presto in tutte le zone del Mediterraneo, nell’Africa e in tutti i territori circostanti, arrivando perfino a colonizzare il Nuovo Mondo.

La sua robustezza, l’adattabilità, le sue poche pretese (se non un po’ di fieno e di biada) e la difficoltà con cui era vittima di malattie lo fecero diventare un compagno inseparabile dell’uomo. Il meglio di sé lo offrì nei due conflitti mondiali. Amico indivisibile del soldato già nella I Guerra Mondiale, fino a dopo gli Anni ’40 questo animale da soma sarà parte integrante ed insostituibile di tutti gli eserciti. In ogni reparto il mulo mostrò il suo valore e anche per le truppe del nostro paese divenne un aiuto notevole. “Soldato a quattro zampe” era considerato questo prezioso animale che durante le dure battaglie era in grado di donare il cuore ai propri compagni umani i quali, a loro volta, si affezionavano a tal punto al loro mulo da piangerne la morte, come avrebbero fatto per qualsiasi altro commilitone.

D’altronde la sua rusticità, la resistenza e la capacità incredibile di poter affrontare con tranquillità anche i sentieri di montagna più impervi, lo avevano reso indispensabile per gli spostamenti dei soldati di montagna. Basti pensare che un solo mulo era in grado di trasportare il carico di tre uomini lungo salite impervie e senza mai dare un segno di cedimento.

Proprio per queste sue arcaiche caratteristiche divenne il protagonista assoluto di uno dei mestieri più antichi di tutta la Garfagnana: il mestiere del mulattiere. Un’antico lavoro questo che raccoglieva svariate mansioni ed incarichi. Il lavoro primario del mulattiere consisteva nel trasportare la legna, ma non solo, il mulattiere aveva anche il compito di fare il tassista, “il postino” (recapitare lettere o messaggi da un paese ad un altro), nonché scambiare merci e rifornire le botteghe dei paeselli sperduti per la montagna garfagnina.

Già la montagna… Ecco, un altro merito che va a coloro che intrapresero questo mestiere fu proprio quello di anticipare lo sviluppo delle attuali reti stradali nella valle, furono proprio i mulattieri a creare nuove strade e nuovi sentieri per le montagne nostrane, seguendo stretti e ripidi percorsi, attraversando fiumi e valloni, valicando passi montani, il mulattiere arrivava dappertutto creando di fatto nuovi viottoli che con il tempo diventarono vere e proprie strade. Quelli che ancora oggi sono rimasti sentieri sono ancora quei primitivi cammini che portano il nome di “strade mulattiere”. Antiche, antichissime oserei dire, queste vie, tant’è che in tempo di dogane il mulattiere ne inventava e ne creava ancora di nuove, cercando di evitare così gli esattori preposti al controllo delle strade, eludendo in questo modo il pagamento dei dazi sulla merce che trasportava.

Anche da un punto di vista puramente sociale l’apporto dei mulattieri fu fondamentale nella crescita della vecchia Garfagnana. Loro era il compito di trasportare la legna che sarebbe servita poi a fare le traversine della tanto sospirata linea ferroviaria Lucca- Aulla (n.d.r:primi anni del 1900), sempre merito loro era se i forni dei nostri paesi venivano riforniti di legna da ardere per fare il pane che avrebbe sfamato i garfagnini. Lavoro duro questo, l’approvvigionamento dei forni doveva essere costante, per la cottura del pane servivano una dozzina di fascine al giorno e lo sforzo del mulattiere veniva ripagato dal fornaio con quel pane. E sempre loro era il merito di trasportare neve e ghiaccio dalle Apuane per mantenere fresche le vivande dei commercianti che avevano il negozio a valle. Non da meno fu il loro apporto (quando arrivò poi la ferrovia) nel trasportare dalla stazione i primi villeggianti nei luoghi di vacanze.

Quello che poi si sobbarcava però tutti questi pesi era il mulo, che nonostante ciò veniva tenuto dallo stesso mulattiere in maniera impeccabile, costantemente ben curato, pulito e nutrito. Il mulattiere prestava attenzione e cura verso il mulo, quest’ultimo era una risorsa e il sostentamento per la famiglia. Quando il mulo per svariati motivi veniva a mancare era un vero e proprio dramma! L’animale veniva preparato con cura per il trasporto: si cercava di mettere la paglia sotto la sella per evitare la formazione di piaghe da decubito sul suo dorso, il pelo era sempre ben strigliato e pulito quotidianamente, la criniera veniva accorciata, gli zoccoli curati, si poneva anche un telo impermeabile arrotolato per coprirlo in caso di pioggia. A volte poteva succedere che la bestia si azzoppasse o si ferisse ed era compito del mulattiere curarlo preparando una miscela di olio bollito e cenere di paglia per cicatrizzare.

Se l’animale aveva un problema alle gengive e non poteva mangiare era premura pulirle con un legno appuntito, così che l’infezione non creasse danno. D’altra parte lo sforzo che doveva fare era enorme e la sua cura era indispensabile. Il carico per ogni bestia era circa di due quintali, e il carico dei muli era un’operazione che richiedeva una sequenza di complesse azioni: bisognava infatti valutare ad occhio quanta legna o quanta merce poteva trasportare un dato animale (il peso variava se l’animale era giovane o adulto), e inoltre c’era da bilanciare i pesi sui fianchi del mulo stesso, sistemare bene la legna e la merce in modo che non cadesse a terra.

Nel caso in cui l’animale trasportasse legna, l’arte sopraffina era il modo in cui veniva legata la massa. Il nodo veniva fatto in modo che con un semplice strattone della corda tutto il carico cadesse ai fianchi dell’animale. Insomma un mestiere antico quanto la nostra stessa Valle e a quanto pare in tutto questo lungo arco di tempo la Garfagnana ebbe fra la sua gente proprio il “Re dei mulattieri”. Così si diceva da queste parti, chi si era aggiudicato questo fittizio titolo non se l’era aggiudicato senza un valido motivo. Secondo “vox populi”, lui e il suo mulo avevano compiuto (a piedi) ben quattro volte il giro del mondo.

Tale calcolo venne fatto dai paesani, dal momento che, tutti i giorni che Cristo mise in terra per ben 40 anni (dal 1915 al 1955), questa persona percorse quotidianamente il tratto San Pellegrinetto – Gallicano. Tutto questo bastava ed avanzava per concedergli cotanto titolo onorifico. La sua “maestà” si chiamava Oliviero Mancini, nato nel 1905 nel suddetto paesello nel comune di Fabbriche di Vergemoli. Iniziò il lavoro di mulattiere sostituendo il fratello Modesto (che gestiva la bottega di famiglia), morto durante la prima guerra mondiale. Al tempo a San Pellegrinetto gli abitanti erano ancora numerosi e le strade (purtroppo) ancora inesistenti, quindi toccava ad Oliviero partire prima dell’alba dal piccolo borgo e giungere a Gallicano per rifornire la bottega di famiglia e conseguentemente garantire sussistenza a tutto il paese.

Partiva alla testa di tre muli (ne possedeva 18), gli animali erano carichi di legna, frutti di bosco, suini macellati, panetti di burro, merce che una volta arrivata a Gallicano scambiava con altra ancora. Si raccontava che il suo arrivo, verso le dieci del mattino, era annunciato dallo schioccar di frusta, un suono di festa che faceva accorre tutti i bimbi in piazza Vittorio Emanuele II, non mancava nemmeno l’occasione che questi bimbi facessero un giro a cavalcioni del mulo. Verso le 15 del pomeriggio, dopo essere passato in trattoria, bevuto “du’ bicchierotti di rosso” e fatto una partitina a briscola, Oliviero, all’ennesimo suono delle fruste salutava e ripartiva con i muli carichi di merce nuova per il lontano paesello, che raggiungeva solamente quando era già buio.

Antichi mestieri, antichi modi di vivere. Storie che ci sembrano uscite da libri di fantasia, racconti talmente incredibili che quasi sembra che non siano mai esistiti. Provate a leggere questo articolo ad un bambino, vi guarderà negli occhi e vi ascolterà come se stesse ascoltando una favola. Ma ditegli che una favola non è, è storia vera, storia della nostra Garfagnana.

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