Le leggende di Natale della Garfagnana

Non voglio essere irriverente né blasfemo, ma l’elettrizzante magia che coinvolge buona parte degli aspetti del Natale è legata al mito, alla tradizione e in molti, moltissimi casi alla leggenda.

Già la stessa data in cui si festeggia la venuta al mondo del Salvatore, rientra proprio in quest’ottica. La Bibbia non dice nulla di specifico circa il mese o il giorno in cui nacque Gesù. Nella scelta del 25 dicembre come giorno di Natale, influì il calendario civile romano, che alla fine del III° secolo celebrava in quel giorno il solstizio invernale, il cosiddetto “sole invitto”. Da quella data, le giornate si facevano più lunghe e metaforicamente parlando, in questo contesto, alla nascita del Cristo gli venne attribuito medesimo significato, il significato della Luce che nasce per sconfiggere le tenebre, un nuovo sole di giustizia e verità.

Questo è l’esempio più alto, più significativo, ma ne possiamo citare altri, meno sintomatici, ma utili per capire il concetto. E se, come nella circostanza della nascita di Gesù, il paganesimo si è fatto cristianesimo, nel caso di Babbo Natale è successo il contrario. Sì, perché Babbo Natale vide origine in San Nicola, santo vissuto nel IV secolo e festeggiato il 6 dicembre.

Secondo la tradizione, San Nicola regalò una dote a tre fanciulle povere, perché potessero andare in sposa, invece di darsi alla prostituzione, mentre in un’altra occasione salvò tre bambini. Così nel Medioevo prese usanza, nel giorno in cui si festeggia il santo, di commemorare tutti questi episodi, facendo piccoli regali ai bimbi.

Con il passare dei secoli, in particolar modo nel Nord Europa, si appropriarono di questo commemorazione, trasformando San Nicola in Samiklaus, Sinterclaus o nel nome a noi più conosciuto di Santa Claus. Di lì il passo fu breve, i festeggiamenti si spostarono alla festa più vicina e più importante: il Natale. Si potrebbe continuare ancora e osservare che anche l’albero di Natale nasce dalle credenze popolari nordiche, così come le palline con cui viene decorato videro la loro genesi nella leggenda. Insomma, tutto quello che è legato al Natale è ammantato di leggenda, favola e allegoria e a tutto questo non si poteva sottrarre la Garfagnana, una delle culle di questi tradizionali racconti. Seguitemi allora per un viaggio in alcune delle leggende di Natale della Garfagnana.

Lo zinebro

Ginepro, mai con l’abete, nemmeno con il pino, solamente con lo zinepro (come si dice in dialetto). E sapete il perché? Perché quando San Giuseppe e la Madonna scapparono per andare in Egitto e il perfido Erode dava la caccia a tutti i bambini, fu proprio lo zinepro che salvò Gesù, comportandosi meglio delle altre piante. Era una notte buia e tempestosa, pioveva a più non posso, e dopo la pioggia anche la neve. Il povero San Giuseppe non sapeva come fare a riparare dal maltempo sé stesso e Maria, non c’era l’ombra di una capanna, nemmanco di un metato, di fronte a se aveva solamente selve.

Videro allora una ginestra e gli chiesero riparo, la ginestra stizzita le mandò via. Gambe in spalla allora, finché non videro una bella scopa (n.d.r: un’erica), alta e frondosa, all’ennesima pietosa richiesta di riparo la scopa ebbe a dire: “Surtitimi di torno, io nun ne vo’ sapé di voialtri. E poi se per disgrazia passa Erode e vi trova qui sotto mi brugia anco me. Surtitimi di torno v’ho ditto!”. Intanto continuava a nevicare copiosamente e ai due poveri sposi non rimaneva altro che cercare un albero benevolo. La stanchezza però oramai stava vincendo, fino a che non scorsero uno zinepro a cui chiesero riparo. “Vinite, vinite pure”, gli rispose e per ripararli meglio e perché Erode non li trovasse protese i suoi aghi in avanti. “Cusì se viene Erode si punge tutto”. Il malvagio tiranno passò, ma non li trovò. Il mattino dopo aveva smesso di nevicare e finalmente San Giuseppe e la Madonna ripresero la strada per l’Egitto. Da quel giorno per i garfagnini lo zinepro diventò il loro albero di Natale.

I re magi sulla Pania

Passano sopra la Pania, sui loro cammelli alati. Veleggiando sui nostri monti si dirigono verso Betlemme, guidati da una stella maestra. Quello che è certo che la strada è lunga da fare, il percorso è improbo e le Apuane sono uno scoglio duro da superare.

Quello è proprio il periodo del maltempo, pioggia e bufere di neve sono all’ordine del giorno e i venti che spirano dal mare creano un muro di nebbia invalicabile, infatti quando i tre Re passano proprio sulla vetta della Pania della Croce i cammelli repentinamente si abbassano dirigendosi verso il monte, prendendo da lì lo slancio verso il mare. Nel punto esatto dove gli zoccoli dei quadrupedi toccano la cima, lasciano l’impronta e nel cielo uno sfavillio di scintille, che vengono giù come luccicanti stelle cadenti.

San Pellegrino e Bertone: Il mugnaio che non voleva festeggiare il Natale

C’è una località vicino a Castiglione che è detta “Il Mulinaccio”, questo dispregiativo ha un perché. All’epoca, in questa località sorgeva un mulino che prendeva le acque dal vicino torrente chiamato “Butrion”. Il padrone era il mugnaio Bertone, uomo infido, antipatico e pure cattivo, dal momento che ad ogni piè sospinto bestemmiava Nostro Signore. Dal cielo l’arcangelo Gabriele chiedeva vendetta, ma il Signore visto l’intercedere di San Pellegrino chiudeva sempre un occhio, chiedendo però in cambio un’opera buona del mugnaio irrispettoso. L’occasione di redenzione l’ebbe la notte di Natale.

Tutti i paesani si stavano preparando per andare alla messa, le campane stavano suonando, ma Bertone non ne voleva sapere di andare a messa e per dispetto e per avidità dette il via alle rumorose macine del mulino e cominciò a lavorare. All’improvviso un sinistro rumore echeggiò da sopra il suo mulino, dalla montagna si staccò un grosso masso, che sollecitato dalle ali dell’arcangelo precipitò sulla costruzione, schiacciando Bertone. Si racconta che da quei tempi, proprio la notte di Natale chi passa da quelle parti, sente ancora strani rumori, come lo strepitio di catene e il girar di macine.

Il ceppo di Natale

In Garfagnana, dove il retaggio contadino è ancora sentito, le tradizioni natalizie vengono tenute vive affinché non venga dimenticato l’insegnamento degli avi. Questo è il caso del “ceppo di Natale”, che di leggenda non ha niente, ma rientra nelle nostre care, vecchie e dimenticate tradizioni. Il ceppo, non è altro che un grosso ciocco di legno messo ad ardere nei camini alla vigilia di Natale. Il grosso pezzo di legno, alcuni mesi prima veniva già adocchiato dal contadino, una volta scelto accuratamente era messo ad asciugare, pronto per essere arso davanti alla famiglia riunita.

La particolarità era che questo grosso ciocco (talvolta talmente grande da essere trasportato da due persone), doveva ardere fino alla sera di Santo Stefano, in alcune famiglie addirittura fino alla sera del capodanno. Per durare così a lungo venivano usati alcuni stratagemmi, come ungerlo con il grasso di maiale o coprirlo di cenere perchè la brace non lo bruciasse completamente. Di solito veniva chiamato pure il prete a benedire il ceppo, dato che il suo significato rientrava nella sfera religiosa. Il suo calore doveva servire per accogliere e riscaldare la venuta di Gesù Bambino nella casa. Ma quest’usanza vide la sua origine in tempi lontanissimi e si rifaceva probabilmente al significato puramente pagano che si dava al solstizio d’inverno: un fuoco sacro, in collegamento diretto con il sole. Tant’è che proprio San Bernardino da Siena deplorava questa tradizione.

Siamo a Firenze nel 1424 e queste furono le sue parole: “Per la natività di nostro Signore Gesù Cristo in molti luoghi si fa tanto onore al ceppo. Dalli ben bere! Dalli mangiare! El maggiore della casa il pone suso e falli dare denari e frasche. Perché è così in Natale rinnegata la fede e perché so’ convertite le feste di Dio in quelle del diavolo? Si vuole mettere el ceppo nel fuoco et che sia l’uomo della casa quello che vel mette, coloro i quali pongono il ceppo al fuoco la vigilia di Natale, conservano poi del carbone alcuni contro il cattivo tempo pongono fuori della propria casa l’avanzo del ceppo bruciato a Natale”.

Sì, perché esiste ancora l’usanza di conservare le sue ceneri, a quanto pare hanno proprietà magiche e di buon augurio: possono essere sparse nei campi per avere un buon raccolto, favoriscono la fertilità degli animali e proteggono dai fulmini. Leggende e usanze queste, che fanno parte di un bagaglio culturale antico, che si intreccia in un singolare mix di sacro e profano, ricordandoci che non è importante cosa trovi sotto l’albero di Natale, ma chi trovi intorno.

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