Viaggio nei ‘paesi fantasma’ della Garfagnana

Diamo onore a chi non c’è più. Stavolta, grazie a Dio, non parliamo però di morti, ma di tutti quei paesi in Garfagnana che sono spariti dalla faccia della Terra, dalle mappe di tutta Italia e che sinistramente vengono chiamati “paesi fantasma”. Mi sembra giusto ricordare un po’ tutti questi borghi che, per un motivo o per un altro, sono stati progressivamente abbandonati. La Garfagnana sicuramente è una fra le zone in cui maggiormente è avvenuto questo fenomeno, anche se una volta questi luoghi erano pieni di vita ed attività lavorative, con centinaia di persone a popolarli. Oggi la vegetazione li ha ‘mangiati’ e la memoria li ha cancellati.

Questo articolo non vuole essere, però, un censimento dei paesi abbandonati della valle. Chissà quanti ci sono che non conosco e quanti ce ne sono stati che nessuno ricorda più. Scopriamo meglio, quindi, un fenomeno non tipicamente garfagnino, ma che riguarda sopratutto il nostro Paese. Secondo i dati ISTAT, infatti, in Italia sono quasi seimila i borghi abbandonati, considerando i veri e propri paesi, gli alpeggi e gli stazzi. Ognuno di questi centri disabitati racconta la storia del proprio territorio e la propria intima vita quotidiana. Quando si disquisisce sui ‘paesi fantasma’ bisogna andare a vedere innanzitutto le cause dell’abbandono che possono essere molteplici. Una fra le cause principali può essere determinata dalle forze della natura; viene subito alla mente il centro storico de L’Aquila, distrutto dal terremoto del 2009 e fino a poco tempo fa semi deserto.

Il borgo di Bergiola

Per esempio, nel nostro piccolo esiste (o meglio non esiste più) il borgo di Bergiola nel comune di Minucciano. La sua storia si è sviluppata attraverso i secoli senza particolari problemi fino a quel tragico settembre del 1920 quando (come ben si sa) un distruttivo terremoto colpì l’intera Garfagnana e questo per Bergiola significò una dolorosa fine. Il paese venne così completamente abbandonato. Col passare del tempo la vegetazione si fece fitta ed era difficile anche raggiungerlo e si innescò per questo un clima di mistero e paura. Si racconta che in certi periodi dell’anno ci si poteva imbattere in un mostruoso serpente nero chiamato (dai pochi sfortunati che giurano di averlo visto) Devasto.

Da non sottovalutare nemmeno le cause riguardanti le epidemie. Nei secoli scorsi alcuni alpeggi garfagnini a ridosso dell’Appennino Tosco-Emiliano a partire più precisamente dal 1629 (quando ormai la peste stava dilagando in Garfagnana), furono letteralmente dati alle fiamme dalle guardie governative del Duca di Modena Francesco I d’Este,  per cercare di delimitare il contagio ai centri urbani più grandi. Per questo, come detto, alcuni piccoli abitati dei pastori furono incendiati e di questi centri addirittura non si conosce più nemmeno il nome.

Il borgo di Camperano

Parlando di epidemie, è curiosa la probabile etimologia del nome di Camperano (località che si trova tra Trombacco e Chieva di Sotto nel comune di Gallicano). La storia ci dice che in questo posto venivano portati i lebbrosi da Piastreto, sotto le grotte di Burioni a Trassilico, il prete dava a quegli sventurati la benedizione e guardando in basso verso di loro scuotendo la testa diceva: ” camperanno o moriranno?”. E di lì il nome Camperano.

Fra altre cause possibili la più frequente è sicuramente quella economica. Tutti sanno che nel secondo dopoguerra in Italia c’è stato l’abbandono delle montagne e l’invasione delle città o di quei paesi dove cominciavano a sorgere le industrie. Questi villaggi ‘lontani dal mondo’ e con ormai poche possibilità di guadagno furono lasciati progressivamente deserti fra gli Anni ’50 e ’60 e non scappo a questa regola nemmeno la Garfagnana.

Il borgo di Vispereglia e Col di Luco

Questi paesini vivevano, infatti, di vita propria, in quei tempi in cui il ritmo della vita non era quello di questi anni. Andavano avanti come piccoli ecosistemi autonomi, riuscendo ad avere tutto quello di cui avevano bisogno, grazie alle coltivazioni, alle risorse naturali e all’ingegno delle persone.
Non ci possiamo nemmeno dimenticare, però, delle cause belliche, perchè quando non è la natura è l’uomo a distruggere quanto costruito da sé stesso.

La guerra esiste da quando esiste l’uomo e sono numerosi i paesi distrutti dai bombardamenti della II Guerra Mondiale. A conferma di questo, il paese di Col di Favilla nel cuore delle Apuane nè è un fulgido esempio. Le attività principali degli abitanti erano la produzione del carbone, la pastorizia e la lavorazione dei metalli presso il canale delle Verghe.

Il borgo di Col di Favilla

L’estrazione del tannino dal castagno, destinato alle concerie del pisano, rendeva il paese più vivo che mai e solo i bombardamenti alleati dell’ultimo conflitto mondiale, in cui il borgo subì gravi distruzioni e le allettanti comodità che offriva il fondovalle fecero cessare per sempre il cuore battente di questo ultra secolare abitato. Altro singolare esempio di paese scomparso per cause sempre riguardanti la guerra ed eventuale pericolo di invasione è il villaggio di Monti, situato nel prospiciente colle davanti a Castelnuovo di Garfagnana. Il piccolo paesello annoverava una ‘signora’ chiesa intitolata a San Pantaleone e a San Michele, risalente addirittura al 1045.

Non per questo il duca Alfonso II d’Este si fece dei problemi e nel 1579 non esitò a costruirvi l’attuale e famosa Fortezza di Mont’Alfonso, cosicché lo sfortunato paese fu inglobato letteralmente nelle imponenti mura. Negli anni successivi fu militarizzato e di conseguenza cancellato da qualsivoglia mappa. Può succedere anche che un paese venga completamente espropriato e questo è successo al più famoso di tutti i  ‘paesi fantasma’ cioè Fabbriche di Careggine.

Il Borgo di Fabbriche di Careggine

I giorni che, suo malgrado, lo resero nella memoria di tutti immortale arrivarono all’inizio del 1941 quando la Società Selt Valdarno (l’attuale E.N.E.L) sbarrò il corso del fiume Edron, con lo scopo di costruire un bacino idroelettrico e così tra il 1947 e il 1953 venne costruita la diga (92 metri di altezza) che portò alla nascita del lago di Vagli e alla conseguente morte del paese che ormai già stava sotto a 34 milioni di metri cubi di acqua.

Quando venne sommerso la località contava 31 case popolate da 146 abitanti, un cimitero, un ponte a tre arcate e la chiesa romanica di San Teodoro risalente al 1590. I 146 abitanti che a malincuore lasciarono le loro case furono trasferiti nel vicino paese di Vagli di Sotto oppure in altri paesi della valle.

Il borgo di Isola Santa

Simile fine la fece pure l’antico borgo dell’Isola Santa nel comune di Careggine, ma qui il discorso cambia un po’ e la causa fu da considerarsi antropica. Per antropico si intendono tutti quei fattori che, attraverso la mano dell’uomo, provocano delle reazioni che hanno come risultato (in questo caso) lo spopolamento di un paese. Il più lampante in Garfagnana riguarda proprio Isola Santa. Lì la pace finì nel 1949, quando venne costruita un’ennesima diga per lo sfruttamento della Turrite Secca.

Il centro abitato fu in parte sommerso: alcune case, un ponte ed un mulino. Il peggio però doveva ancora venire, difatti si scoprì che tutto il resto del paese rimasto in superficie aveva problemi di stabilità, problemi dovuti alle grandi escursioni di acqua imposte dalla Selt Valdarno.

La situazione venne risolta alla fine degli anni ’70, ma, ormai, lo spopolamento era avvenuto e danni irreparabili erano già stati fatti. Isola Santa era ormai quasi disabitata. Nel 1975 gli ultimi abitanti rimasti, durante uno svuotamento del bacino artificiale, occuparono il paese in segno di protesta per rivendicare il diritto a case nuove e sicure. La lotta in buona parte ebbe successo, le abitazioni nuove furono costruite altrove, Anche se si trattò della definitiva morte di un’antichissima comunità.

Si conclude così questo piccolo viaggio nei paesi abbandonati della Garfagnana e il mio pensiero va a tutti gli abitanti (ormai quasi tutti scomparsi) di questi borghi e alla tragedia che hanno subito, nel veder sradicate le loro origini, le loro abitudini, dover abbandonare le case e i campi che loro stessi o i loro genitori costruirono e coltivarono con sacrificio e amore deve essere stato uno strazio inimmaginabile e di difficile sopportazione.

 

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